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Si pappada? In sardo significa due cose a) Si mangia? b) Vi prude? E così che con un pizzico di ironia voglio raccontare di cucina e suggerire ricette e dispensare qualche buon consiglio popolare. Quindi sia se avete fame, se siete curiosi o se vi prude della vaghezza questo è comunque il blog che fa per voi!

venerdì 17 settembre 2010

Bachisio Bandinu. Possa tu essere ciò che non sei

Intervento di Bachisio Bandinu alla presentazione de I sardi sono capaci di amare di Franciscu Sedda, Tempio, 21 Agosto 2010


Possa tu essere ciò che non sei




La parola identità è rischiosa esattamente perché ha un peccato d’origine, che viene dalla matematica. E però è sempre appoggiata ad un’altra parola: differenza. Identità e differenza. Forse che l’indipendentismo non è una coscienza d’identità? Ma di identità aperta, che ammette la differenza? – Prima esisti tu, poi io – questo già pone la relazione.

Come posso dire “io” se non ho un “tu” davanti? Non posso. Non posso nel senso vero, materiale del termine, non solo grammaticale. Quindi, posto che il “tu” esiste prima dell’“io”, ogni concetto negativo di identità per come lo interpretiamo noi cade. Perché io esisto, “io”, in quanto tu esisti, tu mi stai di fronte.

E’ la frontalità che pone la relazione. Obbligati. Quindi l’identità non è essenzialistica, non è contenutistica, non si eredita – “Abbiamo ereditato l’identità” – Per niente! – “Tornare a su connotu” – Non si torna a su connotu! Non si torna.


Possa tu essere ciò che non sei,
non ciò che sei.
Ciò che sei è già acquisito,
e forse nel segno della povertà, interiore.
Possa tu essere ciò che non sei.



Su connotu? No! Su disconnotu! Ciò che noi sardi non abbiamo avuto modo di conoscere perchè non ci è stato dato di conoscere. E vogliamo conoscerlo, quell’ignoto, quello sconosciuto.

Allora, niente tornare a su connotu, ma sperimentare “su disconnotu”, ciò che ci è stato negato. Ciò che è stato represso. Il rimosso che torna nel tempo e diversamente si presenta e provoca il presente, per una nostra reazione.

Allora, questa è la logica dell’indipendenza. L’identità ci è stata data, ci è stata data l’immagine che noi sardi abbiamo di noi stessi. Non ci appartiene! Non è un’identità conquistata da noi. E’ un’immagine negativa che ci è stata data dal potere, dai dominatori, e noi l’abbiamo fatta nostra.

Abbiamo tentato di non farla nostra nella logica del risentimento, ma non è con il risentimento che si risolvono i problemi. Perché il risentimento pone sempre la relazione obbligata tra il servo e il padrone. Il risentimento rinforza la dipendenza.

Allora ritorno all’origine del libro I sardi sono capaci di amare. Non c’è l’interrogativo. I sardi sono capaci di amare. E se io ve lo ponessi come interrogativo, voi cosa rispondereste? I sardi sono capaci di amare? No!!! No, perché l’amore non ci è stato dato, perché ci è stata data la sudditanza. Perché siamo vissuti nell’illusione del potere subìto, sofferto, patito, che ci ha impregnato di risentimento. Il sistema vendicativo! Non si può costruire una nazione sul sistema vendicativo. Niente risentimento!

Allora ecco l’affermazione, non l’interrogativa: I sardi sono capaci di amare. E’ questo il modo, è questo l’avviarsi, è questo il procedere, questo è l’incamminarsi verso l’indipendenza. Cioè, questo è il modo di procedere pragmatico, nella realtà operativa.

I sentimenti e le ragioni. Per arrivare verso qualcosa, non lo si sa. Cos’è questa pretesa di dire: “Ma l’indipendenza dove conduce?” Ma tu vuoi sapere già la meta già prima del cammino? Tu vuoi il risultato, la cambiale già pronta, prima dell’operazione, prima del fare, prima dell’apertura? Non puoi. Quella è una logica conservativa.

“Voglio sapere che cosa avverrà”. Chi dice che vuole sapere ciò avverrà in prospettiva, nega l’apertura della strada, del cammino, del procedere. E’ nel procedere che si costruisce. E’ nel procedere che si sperimenta. E’ nel procedere poi che nascono strade nuove, che io non posso contemplare a priori, prima di quando voglio sapere.

Allora, “I sardi sono capaci di amare” è la sfida. E’ la logica del procedere, del piede e del passo nell’andare avanti. E nell’andare avanti le cose si fanno, le cose avvengono, e procedendo ancora avvengono, e non c’è, dopo, meta che una volta raggiunta si possa dire: “Ah! Adesso possiamo riposarci!” Quella è la logica delle tappe conquistate, tipica dei conquistatori. 

Non ce n’è di tappe, non c’è meta dove possiamo riposarci. La logica del cammino indica l’itinerario. Nell’itinerario, qualcosa avviene. Nell’itinerario, si vive l’esperienza dell’indipendenza, e a mano a mano che si fanno conquiste si consolida, e si trasforma sempre più in un vivere sociale, nella relazione continua, in una procedura che non è psicologica soltanto, ma che è economica, è ambientale, è turistica.

E però appartiene a nuove conquiste identitarie, ma identitarie sempre nel senso delle nostre conquiste. Perché – proprio perché non si eredita – essendo una conquista continua, non è altro che un’attualità. Cioè, è un processo di esperienza di identità e disidentità. Non c’è l’uno. Le cose procedono dal due. In noi c’è dualità, non unità. C’è identità e disidentità.

L’amore è nella logica del duale. Se è nella logica dell’uno, non è amore. E’ egoismo, è possesso, è dominanza. L’amore è duale. L’indipenzenza è su questo procedere. Che l’amare è nella dualità. 

(Trascrizione M. Dibeltulu)

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