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Si pappada? In sardo significa due cose a) Si mangia? b) Vi prude? E così che con un pizzico di ironia voglio raccontare di cucina e suggerire ricette e dispensare qualche buon consiglio popolare. Quindi sia se avete fame, se siete curiosi o se vi prude della vaghezza questo è comunque il blog che fa per voi!

mercoledì 15 settembre 2010

Recensione di Celestino Tabasso




Gli italiani immaginari sul lettino di Sedda
da L'Unione Sarda, sabato 15 maggio 2010


La rivoluzione è fissata per questa mattina alle 11 al T Hotel di Cagliari, in via dei Giudicati. Lì Franciscu Sedda, docente di semiotica e ideologo dell'indipendentismo targato Irs, presenterà con Bachisio Bandinu, Mario Carboni, Maria Antonietta Mongiu e Gianni Marilotti il suo “I sardi sono capaci di amare - Coscienza e futuro di una nazione”. Il libro è pubblicato dalla cooperativa Kita, che ha in catalogo anche il “Verbale di Natale” di Gilberto Ganassi: un editore che schiera un intellettuale separatista e un pubblico ministero può apparire una bizzarrìa, ma è vero che lo stesso saggio di Sedda è sorprendente, anomalo, intellettualmente spregiudicato.
La rivoluzione annunciata per le 11 percorre tutte le 218 pagine chiare ed eleganti del testo e ruota intorno ad alcuni concetti chiave. Il primo: la Sardegna nazione fallita, azzoppata da troppe sconfitte, abitata da un popolo senza storia, è una menzogna. Così come sono infondati lo stereotipo dei sardi disuniti e quello dei sardi “resistenti”, “vinti ma non convinti” e via digrignando i denti.

TERAPIA Dopo aver fatto accomodare i sardi sul lettino dell'analista, Sedda chiude le tapparelle e proietta un film che parafrasando Griffith chiameremmo “Mancata nascita di una nazione”. Non sono state le sconfitte militari a farci mancare le gambe - spiega dopo aver studiato l'anamnesi storica del paziente, documento dopo documento, testo dopo testo - né è stata qualche tabe ereditaria che ci ha fiaccato l'anima o depotenziato l'intelletto.

IL MESSIA No, a tarparci la capacità nazionale è stato un trauma. Che come ogni trauma che si rispetti è stato rimosso e sepolto nell'inconscio: da lì continua a inquinare le falde della nostra autocoscienza, ci costringe ad atteggiamenti nevrotici di simulazione, di compensazione, insomma a tutti i rituali più o meno inconsapevoli che uno shock profondo porta con sé. È quel che avvenne agli ebrei dell'impero ottomano attorno al 1650 - racconta Sedda - quando sulla scena apparve Shabbetaj Zevi, che da tutti fu accettato come il Messia. Grande entusiasmo collettivo, e grande trepidazione quando Zevi viene imprigionato: il Dio in Terra era destinato a mutarsi rapidamente in martire? No: presentato al Sultano e sottoposto a uno stringente contraddittorio religioso, il “Messia” si convertì all'Islam. Per la comunità ebraica fu un colpo da ko. Un ceffone che un popolo - sia pure capace di considerarsi “eletto” ad onta di diaspore e persecuzioni - poteva assorbire solo a costo di grande dolore e turbamento. Figurarsi che effetto fece ai sardi - molto meno sicuri di godere della predilezione divina - sentirsi dire che il sogno nazionalitario era un informe castello in aria, che l'Italia li aveva snobbati e sfruttati e per questo bisognava guadagnarsene il rispetto mostrandosi pronti al sacrificio di sé in trincea e non solo. E se lo sentirono dire, scrive Sedda, proprio dai profeti del sardismo. Non solo da Bellieni, con la sua crudele diagnosi della nazione abortiva, ma anche da Lussu. Finite la dittatura e la guerra, il capitano senza macchia e senza paura che il sentimento popolare viveva, presagiva come leader della repubblica sarda, ci pensò su per un anno e poi annunciò che quella repubblica non s'aveva da fare.

I RASSEGNATI Questo “contrordine compatrioti”, avverte Sedda, è il più destabilizzante degli episodi nazionicìdi, ma non l'ultimo. Lo stesso ormone della decrescita ci viene iniettato dagli storici che spostano di era in era il momento aureo della Sardegna - ora la civiltà nuragica, ora il regno d'Arborea, ora il combattentismo - a patto che di ciascuna si dica che era l'ultima occasione, e ormai è perduta. L'occasione è sempre, dice Sedda. E questo è l'elemento effettivamente rivoluzionario. L'occasione c'è a patto di consentirsela, di ammettere che si è degni di libertà.
E se non si vuole uccidere i Padri - conclude mentre il paziente si rialza dal lettino, dopo aver ascoltato una lunga e dotta analisi che spazia da Bodei a Gandhi, dai Simpson a Cioran - almeno non facciamoci zittire dai loro fantasmi.
CELESTINO TABASSO

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