Gli italiani immaginari sul lettino di Sedda
da L'Unione Sarda, sabato 15 maggio 2010
La rivoluzione è fissata per questa mattina alle 11 al T Hotel di Cagliari, in via dei Giudicati. Lì Franciscu Sedda, docente di semiotica e ideologo dell'indipendentismo targato Irs, presenterà con Bachisio Bandinu, Mario Carboni, Maria Antonietta Mongiu e Gianni Marilotti il suo “I sardi sono capaci di amare - Coscienza e futuro di una nazione”. Il libro è pubblicato dalla cooperativa Kita, che ha in catalogo anche il “Verbale di Natale” di Gilberto Ganassi: un editore che schiera un intellettuale separatista e un pubblico ministero può apparire una bizzarrìa, ma è vero che lo stesso saggio di Sedda è sorprendente, anomalo, intellettualmente spregiudicato.
La rivoluzione annunciata per le 11 percorre tutte le 218 pagine chiare ed eleganti del testo e ruota intorno ad alcuni concetti chiave. Il primo: la Sardegna nazione fallita, azzoppata da troppe sconfitte, abitata da un popolo senza storia, è una menzogna. Così come sono infondati lo stereotipo dei sardi disuniti e quello dei sardi “resistenti”, “vinti ma non convinti” e via digrignando i denti.
TERAPIA Dopo aver fatto accomodare i sardi sul lettino dell'analista, Sedda chiude le tapparelle e proietta un film che parafrasando Griffith chiameremmo “Mancata nascita di una nazione”. Non sono state le sconfitte militari a farci mancare le gambe - spiega dopo aver studiato l'anamnesi storica del paziente, documento dopo documento, testo dopo testo - né è stata qualche tabe ereditaria che ci ha fiaccato l'anima o depotenziato l'intelletto.
IL MESSIA No, a tarparci la capacità nazionale è stato un trauma. Che come ogni trauma che si rispetti è stato rimosso e sepolto nell'inconscio: da lì continua a inquinare le falde della nostra autocoscienza, ci costringe ad atteggiamenti nevrotici di simulazione, di compensazione, insomma a tutti i rituali più o meno inconsapevoli che uno shock profondo porta con sé. È quel che avvenne agli ebrei dell'impero ottomano attorno al 1650 - racconta Sedda - quando sulla scena apparve Shabbetaj Zevi, che da tutti fu accettato come il Messia. Grande entusiasmo collettivo, e grande trepidazione quando Zevi viene imprigionato: il Dio in Terra era destinato a mutarsi rapidamente in martire? No: presentato al Sultano e sottoposto a uno stringente contraddittorio religioso, il “Messia” si convertì all'Islam. Per la comunità ebraica fu un colpo da ko. Un ceffone che un popolo - sia pure capace di considerarsi “eletto” ad onta di diaspore e persecuzioni - poteva assorbire solo a costo di grande dolore e turbamento. Figurarsi che effetto fece ai sardi - molto meno sicuri di godere della predilezione divina - sentirsi dire che il sogno nazionalitario era un informe castello in aria, che l'Italia li aveva snobbati e sfruttati e per questo bisognava guadagnarsene il rispetto mostrandosi pronti al sacrificio di sé in trincea e non solo. E se lo sentirono dire, scrive Sedda, proprio dai profeti del sardismo. Non solo da Bellieni, con la sua crudele diagnosi della nazione abortiva, ma anche da Lussu. Finite la dittatura e la guerra, il capitano senza macchia e senza paura che il sentimento popolare viveva, presagiva come leader della repubblica sarda, ci pensò su per un anno e poi annunciò che quella repubblica non s'aveva da fare.
I RASSEGNATI Questo “contrordine compatrioti”, avverte Sedda, è il più destabilizzante degli episodi nazionicìdi, ma non l'ultimo. Lo stesso ormone della decrescita ci viene iniettato dagli storici che spostano di era in era il momento aureo della Sardegna - ora la civiltà nuragica, ora il regno d'Arborea, ora il combattentismo - a patto che di ciascuna si dica che era l'ultima occasione, e ormai è perduta. L'occasione è sempre, dice Sedda. E questo è l'elemento effettivamente rivoluzionario. L'occasione c'è a patto di consentirsela, di ammettere che si è degni di libertà.
E se non si vuole uccidere i Padri - conclude mentre il paziente si rialza dal lettino, dopo aver ascoltato una lunga e dotta analisi che spazia da Bodei a Gandhi, dai Simpson a Cioran - almeno non facciamoci zittire dai loro fantasmi.
La rivoluzione è fissata per questa mattina alle 11 al T Hotel di Cagliari, in via dei Giudicati. Lì Franciscu Sedda, docente di semiotica e ideologo dell'indipendentismo targato Irs, presenterà con Bachisio Bandinu, Mario Carboni, Maria Antonietta Mongiu e Gianni Marilotti il suo “I sardi sono capaci di amare - Coscienza e futuro di una nazione”. Il libro è pubblicato dalla cooperativa Kita, che ha in catalogo anche il “Verbale di Natale” di Gilberto Ganassi: un editore che schiera un intellettuale separatista e un pubblico ministero può apparire una bizzarrìa, ma è vero che lo stesso saggio di Sedda è sorprendente, anomalo, intellettualmente spregiudicato.
La rivoluzione annunciata per le 11 percorre tutte le 218 pagine chiare ed eleganti del testo e ruota intorno ad alcuni concetti chiave. Il primo: la Sardegna nazione fallita, azzoppata da troppe sconfitte, abitata da un popolo senza storia, è una menzogna. Così come sono infondati lo stereotipo dei sardi disuniti e quello dei sardi “resistenti”, “vinti ma non convinti” e via digrignando i denti.
TERAPIA Dopo aver fatto accomodare i sardi sul lettino dell'analista, Sedda chiude le tapparelle e proietta un film che parafrasando Griffith chiameremmo “Mancata nascita di una nazione”. Non sono state le sconfitte militari a farci mancare le gambe - spiega dopo aver studiato l'anamnesi storica del paziente, documento dopo documento, testo dopo testo - né è stata qualche tabe ereditaria che ci ha fiaccato l'anima o depotenziato l'intelletto.
IL MESSIA No, a tarparci la capacità nazionale è stato un trauma. Che come ogni trauma che si rispetti è stato rimosso e sepolto nell'inconscio: da lì continua a inquinare le falde della nostra autocoscienza, ci costringe ad atteggiamenti nevrotici di simulazione, di compensazione, insomma a tutti i rituali più o meno inconsapevoli che uno shock profondo porta con sé. È quel che avvenne agli ebrei dell'impero ottomano attorno al 1650 - racconta Sedda - quando sulla scena apparve Shabbetaj Zevi, che da tutti fu accettato come il Messia. Grande entusiasmo collettivo, e grande trepidazione quando Zevi viene imprigionato: il Dio in Terra era destinato a mutarsi rapidamente in martire? No: presentato al Sultano e sottoposto a uno stringente contraddittorio religioso, il “Messia” si convertì all'Islam. Per la comunità ebraica fu un colpo da ko. Un ceffone che un popolo - sia pure capace di considerarsi “eletto” ad onta di diaspore e persecuzioni - poteva assorbire solo a costo di grande dolore e turbamento. Figurarsi che effetto fece ai sardi - molto meno sicuri di godere della predilezione divina - sentirsi dire che il sogno nazionalitario era un informe castello in aria, che l'Italia li aveva snobbati e sfruttati e per questo bisognava guadagnarsene il rispetto mostrandosi pronti al sacrificio di sé in trincea e non solo. E se lo sentirono dire, scrive Sedda, proprio dai profeti del sardismo. Non solo da Bellieni, con la sua crudele diagnosi della nazione abortiva, ma anche da Lussu. Finite la dittatura e la guerra, il capitano senza macchia e senza paura che il sentimento popolare viveva, presagiva come leader della repubblica sarda, ci pensò su per un anno e poi annunciò che quella repubblica non s'aveva da fare.
I RASSEGNATI Questo “contrordine compatrioti”, avverte Sedda, è il più destabilizzante degli episodi nazionicìdi, ma non l'ultimo. Lo stesso ormone della decrescita ci viene iniettato dagli storici che spostano di era in era il momento aureo della Sardegna - ora la civiltà nuragica, ora il regno d'Arborea, ora il combattentismo - a patto che di ciascuna si dica che era l'ultima occasione, e ormai è perduta. L'occasione è sempre, dice Sedda. E questo è l'elemento effettivamente rivoluzionario. L'occasione c'è a patto di consentirsela, di ammettere che si è degni di libertà.
E se non si vuole uccidere i Padri - conclude mentre il paziente si rialza dal lettino, dopo aver ascoltato una lunga e dotta analisi che spazia da Bodei a Gandhi, dai Simpson a Cioran - almeno non facciamoci zittire dai loro fantasmi.
CELESTINO TABASSO
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