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Si pappada? In sardo significa due cose a) Si mangia? b) Vi prude? E così che con un pizzico di ironia voglio raccontare di cucina e suggerire ricette e dispensare qualche buon consiglio popolare. Quindi sia se avete fame, se siete curiosi o se vi prude della vaghezza questo è comunque il blog che fa per voi!

martedì 14 settembre 2010

Riflessione di Daniela Cuncu Mostallino



La prima volta che ho letto il saggio di Franciscu Sedda, “i sardi sono capaci di amare” è stata quasi cinque mesi fa, più o meno all’uscita del libro. L’ho letto in un solo giorno, rischiando di affogare in un mare di gioia consapevole. Una volta concluso, ricordo di essere andata al computer e aver scritto un piccolo commento sotto altri commenti, sulla bacheca di Franciscu. 
Non era la prima volta che leggevo uno dei suoi libri, infatti, dopo aver letto “la vera storia della bandiera dei sardi”, gli avevo postato una riflessione che riassumeva il mio stato d’animo di allora, quando ancora il mio approccio con l’indipendentismo era a uno stadio primordiale e meno consapevole di quello attuale. Meno consapevole, ma in che senso? Ora, mi viene in mente che ero sovrastata da emozioni forti, come se l’idea travolgente di quello che mi stava accadendo fosse rimasta in un angolo di memoria, un luogo dipinto in un muro della mia mente chiuso a chiave in una stanza. La chiave per aprire la porta era il senso. Il senso perduto, che è quello che ti orienta e spinge verso una direzione ben precisa. Il senso che mi ha spinto ad aprire una porta qualsiasi della mia mente, o apparentemente qualsiasi, e dove i miei occhi si sono all’improvviso spalancati e hanno esclamato eureka! Mi sono ritrovata, mi ero persa. Avevo perso il senso della realtà e questo mi rendeva cieca in un mondo che non mi portava da nessuna parte. La curiosità morbosa e impulsiva per quello che poteva esistere oltre il mare, mi aveva tolto la libertà di conoscere quello che avevo intorno. E non lo vedevo, dunque mi ci perdevo. E poiché non trovavo la strada, ne imboccavo sempre una nuova, ma mai quella giusta. Questa, era rimasta chiusa a chiave, fino a quando, un giorno, che non era un solo giorno, ma una vita intera, quella porta ha bussato da me e io ho aperto. È bastato aprire per fare entrare i colori. La stanza in realtà non era una stanza, ma un mondo inclusivo di una e più stanze aperte, spazi. Ero io a essere chiusa in una stanza, e quello che guardavo dal mio spazio angusto, era un macrocosmo incompleto. Un mondo che non percepiva la propria origine, un mondo asettico. Ora, queste considerazioni a posteriori, sono frutto di uno svisceramento che è avvenuto nell’arco di un anno. È stato proprio un anno fa che scrissi la prima frase vera sulla mia sarditudine. Ed è da quel punto in poi che la mia consapevolezza è cresciuta, andando di pari passo con il mio senso di responsabilità. Mi sono chiesta tante volte che cosa volesse dire essere responsabili. Chi è la persona responsabile? Forse quella che osserva le regole e non sbaglia mai? E se così fosse, di quali regole stiamo parlando e chi le ha fatte, e siamo davvero sicuri che siano regole giuste? Le regole non sono tali punto e basta. Bisogna inserirle in un contesto, ogni cosa ha un suo senso preciso, e le regole le fanno tutti, anche i criminali. Per cui, la responsabilità, prescinde dalle regole imposte da chicchessia. La responsabilità fa parte di ognuno di noi, è una cosa intima, o meglio, parte dalla nostra coscienza e si eleva alla collettività. Diventa partecipe del mondo, si snoda in un cammino che non termina nell’uscio di casa nostra, ma va oltre, s’inoltra in zone lontane da noi, pur restando con noi, perché parte stessa di noi. È quello che potremmo chiamare un principio primordiale di cui non si conoscono le regole precise, perché queste ultime, in effetti, scaturiscono dal principio stesso. Ecco il motivo per cui tante volte, non si riesce a spiegare esattamente il senso di quello che si prova, perché esso è come un embrione che si sta evolvendo fino a divenire realtà. La realtà è responsabilità, la responsabilità è la sostanza di ogni individuo che non attinge da regole esterne o doveri prestabiliti, ma li fonda essa stessa nel rispetto di ognuno di noi.

Dopo aver scritto quella frase, ho iniziato a intrecciare relazioni con altre persone che scrivevano della loro esperienza. Ognuno aveva percorso il proprio cammino per approdare a quella spiaggia consapevole. Attraverso la propria autodeterminazione, altri sono arrivati a concepire le stesse idee. Quelle idee di mondo, che sembravano isolate dal mondo, ma che in realtà erano vive e vivide di colore, reali, tanto da farci credere di essere in una realtà surreale, perché poggiavamo i nostri pensieri sopra terreni inesistenti, grigi, inventati ad hoc da altri, con le loro regole, quelle che erano state loro impartite da altri ancora, che non conoscevano la responsabilità che sentivamo noi, perché provenivano da altre storie e volevano che anche noi ne facessimo parte, con la nostra responsabilità, quella che non mettevamo in pratica sul nostro stesso terreno, perché depredati di ogni possibile senso di responsabilità, di realtà (depredati della nostra stessa intima coscienza). Colonizzati dal non senso, inclusi in un luogo che ci escludeva dalla nostra matrice. Ecco come il tempo ha ammazzato la nostra esistenza, il tempo che abbracciava altro tempo, fagocitando la nostra storia, il nostro cammino. Per inerzia, la nostra responsabilità si trascinava senza senso in una realtà che non le apparteneva. E da qui è nata l’incoscienza che ha assopito il nostro sapere, la nostra indole. La testa molle, un continuo perpetuarsi di idee sconnesse, risposte non adeguate a domande smarrite. E un sentore negativo che pervadeva i sentimenti. L’odio è forse quello che esaltava più di tutti il sapore amaro di questa isola, idea, realtà, responsabilità perduta, nascosta, soffocata, sotterrata. E l’odio ha accompagnato la cattiveria e la frustrazione che crescevano nelle persone. Diceva un grande intellettuale romeno che cita Franciscu stesso nel suo libro, “chi si odia non è umile”, perché l’odio, dico io, è un sentimento acerrimo, esaltato, forte, provare odio per se stessi significa innalzarsi a monumento mostruoso della propria incapacità di amarsi e di amare il prossimo. Significa rendere irreale e irresponsabile il senso della propria vita. Irreale di idee falsate dal tempo e contrapposte alla realtà ultima del singolo che esiste, all’individuazione di sé. Irresponsabile a causa del suo essere irreale, finto, inventato, bugiardo. Sinonimi tutti di una stessa idea di dipendenza, una dipendenza che non può far altro che degenerare se non si rende conto responsabilmente di essere mutevole, di poter ridivenire, rinascere indipendenza. Indipendenza mentale prima di tutto. Presa di coscienza, responsabilità, realtà. Se partiamo dal presupposto che non c’è uno stato fisso delle cose, ma che con il nostro senso di responsabilità possiamo attuare un cambiamento, niente sarà più cieca dipendenza. Ogni atto del nostro quotidiano, per quanto inizialmente potrà sembrare vano e fine a se stesso, sarà in realtà (in una realtà responsabile perché consapevole, viva, perché attiva) un tassello di un infinito e continuo cambiamento verso il mondo che ci circonda e che fa da ponte verso il mondo intero. Non isolati, come nelle menti dipendenti da idee false e irresponsabili, ma collegati a più livelli che si combinano tra loro, senza escludersi a vicenda, integrandosi.

Dopo aver letto il libro questa seconda volta, la mia idea era quella di scrivere un sunto analizzando i punti più interessanti secondo me, al fine di riuscire a spiegare con parole mie quello che il libro in sostanza voleva esprimere. Poi, ho aperto la pagina di word, e dalla prima parola mi sono accorta che non avrei scritto niente di quello che avevo pensato che avrei scritto, non avrei più estrapolato parti del libro per leggerle e analizzarle insieme, ad alta voce. Ho capito che avrei vomitato le mie emozioni sul foglio, non concentrandomi più su quello di cui avrei voluto parlare, ma lasciando che le parole costruite sulle mie emozioni esprimessero quello che davvero mi ha colpita e mi ha fatto riflettere di questo libro. Il senso, mi ha nuovamente diretto verso il centro di attrazione, verso la parte più vergine di me, nuda e consapevolmente feconda. Capace di amare.


TzdA Assemini








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